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L’autodisciplina come chiave del successo



Fallimento. E’ una parola che nella nostra cultura suona davvero male. E’ un qualcosa che generalmente ci fa vergognare e ci mette a disagio. Eppure è un qualcosa che ci accompagna costantemente. Non parlo solo di cose evidenti, di progetti di grosso valore e impatto naufragati malamente, ma di piccoli insuccessi.

Personalmente e professionalmente penso di poterne mettere in fila una bella serie. Eppure, con il tempo, comincio ad apprezzarli. Non che fallisca di proposito, sia ben inteso, ma di sicuro cerco di coglierne la parte positiva. Cerco di renderli carburante per il prossimo miglioramento. Da qui una riflessione. Mi sono chiesto cosa accomuni i miei fallimenti e molti di quelli che ho visto accadere attorno a me.

In ambito lavorativo credo di poter ricondurne molti all’autodisciplina. O meglio… alla mancanza di quest’ultima. Programmi 5S, attività di miglioramento, A3, piccoli e grandi cambiamenti si sono sgretolati perché non sostenuti da pilastri solidi. Come Atlante siamo noi a tenere in piedi tutto; la persona è la colonna portante. Le idee più brillanti si spengono se qualcuno ogni giorno per settimane, mesi a volte anni, non ne tiene vivo il lume. E per far questo serve autodisciplina. Resilienza dirà qualcuno. No. Quella è la capacità di resistere agli impatti dell’insuccesso. Di sicuro serve, ma io parlo di un mix di costanza e rispetto. Quella dello sportivo che fa cinque allenamenti alla settimana “no matter what”, del monaco che si alza all’alba per pregare, di mia madre che cura il giardino, un po’, ogni giorno.

Per quella che è la mia esperienza posso dire che i progetti falliscono non perché manchino di validi scopi, ma perché spesso serve metodo per raggiungere e consolidare i risultati. Chi lavora con le persone sa bene che rendere un nuovo standard di lavoro un’abitudine richiede un sacco di energia. E’ necessario andare sul campo spesso e per lungo tempo a “battere il chiodo”. Serve costanza. Bisogna forzarsi nel tenere la barra a dritta sostenendo con l’esempio i comportamenti che si vogliono innescare cadenzando le attività fino a renderle parte integrante della ruotine.


La costanza data dall’autodisciplina è un’arma preziosa. Permette di trasmettere alle organizzazioni delle sane abitudini, di renderle più trasparenti instaurando dei rituali positivi e riconosciuti. Allinea le risorse e fa spazio intorno ai problemi. “Ogni martedì alle 14:00 c’è l’aggiornamento di produzione”. Mi impegno ad esserci e dare il mio contributo con regolarità facendo in modo di non mancare mai. È un lavoro potenzialmente logorante, ma indispensabile. Aumenta anche la fiducia; “so che ti comporterai come abbiamo definito nella procedura scritta insieme anche se non è sempre semplice”. È l’ingrediente necessario per lo “standard work” di cui parlava Ohno a cui aggiungere, poi, una eventuale proposta di miglioramento


Guardate questo video: Why 5S?

Parla di 5S ed è un condensato di saggezza. La parola autodisciplina compare ben 3 volte in pochi minuti. Ho perso il conto di quante volte abbia sottolineato questa parola nel testo “Genba Kaizen” di Masakii Imai. Credo che non sia un caso. Di come si allena e si stimola l’autodisciplina parleremo magari un’altra volta. Intanto pensateci e date un voto alla vostra.


Massimiliano Sartor

Kaizen Project Leader

Mitsubishi Electric Hydronics & IT Cooling Systems S.p.A.



Questi concetti sono ampiamente approfonditi nei nostri percorsi di certificazione Lean Six Sigma.


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